Acqua in bottiglia contaminata da microplastiche: cosa succede in Francia? E noi siamo al sicuro?

Un recente studio commissionato dall’organizzazione “Agir pur l’Environnment” riapre il dibattito sulla presenza di microplastiche nell’acqua che beviamo. Non a caso, tre anni fa l‘Oms si era già occupata della questione: finalmente ci sono novità (senza allarmismi), ma purtroppo sono poco simpatiche. La verità è che il 78% delle acque in bottiglia presenti sul mercato francese contiene tracce delle terribili e pericolose microplastiche.

L’origine principale di questa contaminazione sembrerebbe essere industriale, anche se in parte potrebbe essere dovuta anche al “degrado dell’imballaggio“.

L’Oms riconosceva il fenomeno della contaminazione generalizzata delle acque – fiumi, oceani e imbottigliata, senza tuttavia stimare i possibili danni alla salute per mancanza di studi sufficienti.

Di fatto, oggi giorno, l’organizzazione avverte che la bottiglia di plastica costituisce un problema, in quanto si tratta del “rifiuto plastico più numeroso nell’insieme delle acque europee”.

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Sulla stampa francese lo studio sull’acqua in bottiglia contaminata da microplastiche sta facendo parecchio rumore. L’analisi mostra che su nove bottiglie analizzate presenti nei supermercati, sette contenevano microplastiche, anche in minima parte.

E non osiamo immaginare cosa sarebbe successo nel caso di rilievi su grandi campioni…

Ancora più allarmante il fatto che una bottiglia etichettata “per bambini” avesse una concentrazione di microplastiche venti volte maggiore delle altre.

È così che tutelano la nostra salute e quella dei nostri figli?

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Visto che le molecole rinvenute sono in particolare Polietilentereftalati e Polietileni (nei tappi), si è subito chiesto il divieto alla commercializzazione delle bottiglie di plastica entro cinque anni, con un piano “zero microplastiche nella catena alimentare” e trasparenza nella composizione delle bottiglie.

Ovviamente le federazioni delle acque minerali naturali e delle acque sorgive transalpine non sono rimaste in silenzio, e hanno risposto allo studio con un comunicato stampa.

D’altronde, chi vorrebbe perdere un giro d’affari così grosso su un bene pubblico…

Le corporazioni puntano il dito contro il fatto che l’analisi riguarda solo nove bottiglie “impedendo di garantire la non variabilità dei risultati”. Omettono che, per pura coincidenza, sia stato negato l’accesso ad ulteriori centri di stoccaggio per ulteriori analisi.

Riaffermano “la qualità e la sicurezza dei loro prodotti” e ricordano che “l’analisi della fonte delle microplastiche è di per sé complessa per la loro diffusa presenza nell’aria, nel suolo, nella fauna e nella catena alimentare”.

In effetti le microplastiche sono ovunque. Nel mare, nel suolo, nell’aria che respiriamo, nel cibo che mangiamo. Uno studio del WWF aveva già stimato come gli esseri umani potrebbero ritrovarsi a ingerire inconsapevolmente un quantitativo di plastica equivalente a una carta bancomat (cinque grammi) ogni settimana. Ma allora, se c’è questo dubbio alla radice… perché rischiare di amplificarlo aggiungendo elementi impuri su elementi impuri, come ad esempio la plastica?

A questa domanda probabilmente non troveremo risposta.

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Siamo convinti però che quest’ulteriore indagine dimostri quanto sia necessaria una maggiore educazione sull’utilizzo dell’acqua e sul come si sviluppa l’intera filiera, dato che risulta cosa poco nota e questo porta ad inutili sprechi e ad errati utilizzi di una risorsa finita.

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